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PUÒ ESSERCI FUTURO SENZA CULTURA? LA GRECIA ALLA PROVA DELLA CRIS

n un momento storico in cui tutti i riflettori sono puntati sulla Grecia e sul suo futuro, sono numerosi i progetti artistici di matrice socio-antropologica che tentano di offrire una risposta alternativa alla crisi attraverso la promozione di un riscatto culturale. Mentre i principali musei pubblici rischiano la chiusura, le maggiori fondazioni greche – a lungo percepite come una vetrina per offrire un affrancamento etico ai grandi armatori – incrementano i propri investimenti in cultura. In un Paese in cui il sistema culturale è in serio pericolo, le condizioni economiche avverse sembrano aver risvegliato il senso della cooperazione e dell’agire collettivo in virtù di un bene comune

In un momento di grande turbolenza, anche le principali istituzioni culturali pubbliche greche sono a un passo dal collasso. Un articolo apparso lo scorso 09 luglio su «The Art Newspaper» evidenzia lo stato di emergenza in cui si trovano i principali musei ellenici, che rischiano la chiusura per mancanza di fondi. È quanto potrebbe accadere al Museo Statale di Arte Contemporanea di Salonicco che dispone solo dei fondi necessari per pagare gli stipendi del proprio staff, mentre non possiede risorse sufficienti per la gestione ordinaria, compreso il pagamento delle bollette. Allo stesso modo l’inaugurazione del nuovo museo di arte contemporanea di Atene è stata rimandata a data da destinarsi per la mancanza di finanziamenti. Ad essere temporaneamente chiuso è invece il Museo Macedone di Arte Contemporanea di Salonicco che, gestito da una fondazione non profit finanziata dallo Stato, ha visto il proprio budget ridotto da 500mila euro nel 2006 agli attuali 180mila euro.

Di fronte a un’emergenza diffusa, gli artisti greci sembrano aver riscoperto la funzione sociale dell’arte e l’importanza per il popolo greco di un riscatto che sia prima di tutto culturale. Non a caso, proprio nella città di Salonicco dal 23 giugno fino al 30 settembre, è in corso la quinta edizione della Biennale di Arte Contemporanea che oltre a ospitare opere di artisti provenienti da 25 Paesi di tutto il mondo, è la cornice che fa da sfondo alle installazioni realizzate nell’ambito del  progetto «The Depression Era». The Depression Era è un collettivo di artisti «fondato nel 2011 con l’intento di avviare una discussione comune e di prendere posizione contro le radicali trasformazioni sociali, economiche e politiche degli ultimi anni. Oggi intorno al progetto si raccolgono 36 persone tra artisti, fotografi, scrittori, curatori, designer e ricercatori, supportati dalla ONG KOLEKTIV8».

Il progetto «The Depression Era» cerca di fornire una chiave di lettura inedita del paesaggio urbano e sociale della crisi greca, attraverso uno sguardo che sia il più lucido possibile. Come si racconta sul sito web del progetto: «Tutto è cominciato come un esperimento collettivo, ritraendo le città della Grecia e le sue regioni più esterne, la vita privata delle persone meno abbienti, il collasso del sistema pubblico, la scarsità dei beni comuni, e scattando istantanee del quotidiano con l’intento di comprendere i cambiamenti sociali, economici e storici attualmente in corso in Grecia». Questo perché «quando qualcuno è immerso in una crisi costante e profonda, perde principalmente due cose: la propria sussistenza – ossia il lavoro, il cibo, i soldi, le risorse di base – e la propria visibilità – ossia la possibilità che la propria storia possa esistere ed essere ascoltata oppure vista dagli altri».

Il progetto The Depression Era rende visibili alcune di queste storie, presentandole all’interno di una sfera pubblica come se fossero parti di un racconto più ampio, di un mosaico di immagini, video e testi che ci riportano indietro nel tempo quando il lieto fine era ancora possibile. Al contempo, tale iniziativa prevede l’organizzazione di laboratori didattici e call dedicate ai giovani artisti, al fine di creare una sorta di «archivio artistico» della crisi, capace di offrire una visione inedita e informale della storia contemporanea della Repubblica Greca e del suo spazio pubblico.

Sulla stessa scia, si inserisce il lavoro dell’artista greco Stratis Vogiatzis, antropologo di formazione ed esperto in tematiche legate all’infanzia e alla violenza politica. Recentemente in mostra presso la Galleria Pirra, la collezione Inner World è il frutto di un progetto che si è sviluppato tra il 2007 e il 2010 sull’isola di Chios, attraverso il quale Stratis Vogiatzis ha catturato con la sua macchina fotografica un pezzo della cultura popolare dell’Egeo, rivelando il mondo nascosto dei cosiddetti «villaggi del mastice». «Questi borghi medievali sono diventati ricchi e famosi grazie alla coltivazione di un piccolo albero che lacrima una resina profumata, ampiamente utilizzata dal 14° secolo. In epoca recente questo commercio ha perso la sua importanza, così interi villaggi sono stati abbandonati. Case, bar, negozi, cantine, scuole: luoghi dimenticati di una cultura popolare collettiva, che è rimasta come sospesa nel tempo e nella memoria».

Successivamente Vogiatzis, insieme alla compagna Thekla Malamou, ha dato vita a The Caravan Project come personale reazione alla crisi greca. Iniziato come un viaggio tra le strade della Grecia a bordo di un camper, il progetto è diventato un racconto a più voci delle storie di vita quotidiana ignorate dai mass media, con l’intento di rendere visibile e di portare in primo piano l’esistenza della gente comune, focalizzandosi sulla ricchezza e sulla diversità della narrazione umana. Finanziato dalla Fondazione Stavros Niarchos, The Caravan Project si concretizza nella produzione di documentari di alta qualità, ritratti fotografici e registrazioni sonore che ritraggono momenti di vita di uomini e donne che, nonostante le avverse condizioni economiche, hanno trovato il proprio modo di superare gli ostacoli e di raggiungere i propri risultati. Come riferiscono Vogiatzis e Malamou, «in tempi in cui la realtà sociale è in continuo mutamento, The Caravan Project desidera contribuire allo sviluppo di un dialogo creativo tra diverse entità sociali e agire da catalizzatore per un cambiamento sociale positivo. Il nostro fine ultimo è quello di lanciare l’iniziativa Another World is Here, una piattaforma educativa e culturale che utilizzerà le storie raccolte attraverso The Caravan Project come una vibrante fonte culturale per raggiungere un elevato numero di persone nelle città, nei paesi, nelle scuole e nelle università. Idealmente, ci piacerebbe offrire un’alternativa al sistema educativo monodimensionale e avvicinare la gente alla poesia e alla sensibilità racchiusa nelle storie umane».

The Depression Era e The Caravan Project sono solo due esempi, diversi ma al contempo simili, di raccontare un popolo che non vuole arrendersi allo stato di fatto, ma che cerca di trovare una nuova identità capace di restituire a ciascun greco la propria dignità di essere umano. Accade così che in un Paese che i mezzi di informazione di tutto il mondo dipingono come a un passo da una catastrofe economica e umanitaria, siano in corso molteplici progetti culturali di matrice socio-antropologica che cercano di offrire una possibilità di sopravvivenza all’arte e alla creatività, consci del fatto che un Paese senza cultura rischia di divenire un Paese privo di prospettive per il futuro.

E in un contesto caratterizzato da incertezza, non sono solo gli artisti a mettersi in gioco in prima persona, ma anche le grandi fondazioni greche sembrano ritrovare il senso della cooperazione e dell’agire collettivo a favore di una causa comune. Nate sulla scorta dei grandi capitali accumulati nel corso del tempo dai più noti armatori greci, tali istituzioni sono legate a doppio filo al nome dei propri fondatori e alla famigerata norma costituzionale del 1967, che permette ai proprietari di navi di non pagare tasse sui profitti generati all’estero. Come messo in evidenza da un articolo apparso sul Il Sole 24 Ore, grazie a tale legge «tra il 2000 e il 2010 sono stati trasferiti oltreconfine 140 miliardi di utili degli armatori, pari al 43% del debito pubblico greco, senza che venisse pagato un solo euro al malconcio Fisco ellenico». Viste come delle vetrine per offrire una sorta di affrancamento etico e morale ai grandi armatori, le maggiori fondazioni greche stanno tuttavia cercando di recuperare il proprio ruolo di attore sociale, integrando la produzione pubblica di cultura, fortemente vessata dai tagli alla spesa pubblica imposti dal governo, attraverso il finanziamento di iniziative che altrimenti non si sarebbero potute realizzare.

Così in occasione della 56 edizione della Biennale di Venezia, per la prima volta le maggiori fondazioni greche hanno deciso di collaborare per rendere possibile la realizzazione del Padiglione Greco. Finanziato da un insieme di soggetti, quali Philip & Spyros Niarchos, Alexander S. Onassis Public Benefit Foundations, Calamos Investments LLP, nctm e l’arte, DESTE
 Foundation for Contemporary Art, Outset Contemporary Art Fund, HARRY DAVID Athens, 
University of Thessaly e T.A.M.A., il Padiglione Greco ospita l’installazione «Why Look at Animals? AGRIMIKÁ» di Maria Papadimitriou, curata da Gabi Scardi con Alexios Papazacharias. Come messo in evidenza nel comunicato stampa di presentazione del Padiglione, l’installazione «consiste nel trasferimento di un esercizio commerciale che vende pelli di animali da una città della Grecia, Volos, dove effettivamente opera, al Padiglione Greco. Il negozio è antiquato e appare come una vestigia del passato. […] Nel paesaggio ‘in rovina’ del Padiglione Greco, l’agrimikό, questo animale che – a costo di essere messo al bando – resiste all’addomesticamento, si trasforma in un’allegoria contemporanea di colui che diverge dalla norma umana». Il Padiglione Greco diviene quindi la rappresentazione plastica di una società democratica che viene decostruita e in parte svalutata, in cui «i diritti non sono più di tutti e nella stessa misura».

Nell’ottica di sopperire a una mancanza pubblica, si inserisce anche la decisione della Fondazione Stavros Niarchos – una tra le principali organizzazioni filantropiche internazionali, istituita nel 1996 dagli eredi dell’armatore ellenico Stavros Niarchos con l’intento di investire nei campi della cultura, dell’istruzione, della salute, dello sport e del welfare – di finanziare la costruzione di un imponente Centro Culturale che ospiterà al suo interno la Biblioteca Nazionale Greca, il Teatro dell’Opera Nazionale e il Parco Stavros Niarchos[1].

Il progetto, interamente finanziato dalla Fondazione Stavros Niarchos, avrà un costo complessivo di 566 milioni di euro e sarà portato a termine entro la fine del 2016. Situato a circa 4,5 Km dal centro di Atene, il complesso culturale sorgerà vicino al mare all’interno dell’area che in passato ospitava il vecchio ippodromo della città. Oltre alla costruzione di una biblioteca di 24.000 m², in grado di ospitare 750.000 volumi, di un teatro principale da 1.400 posti e di un teatro sperimentale da 400 posti, il progetto prevede anche la costruzione di un centro polifunzionale ecologicamente sostenibile, per un’estensione complessiva di di 232.000 m², destinata per circa l’85% a parco pubblico. Una volta termina la sua costruzione, la Fondazione Stavros Niarchos donerà l’intera struttura allo Stato greco che ne assumerà il pieno controllo operativo e gestionale, rappresentando la prima partnership pubblico-privata attivata in Grecia attraverso questa modalità, e uno dei più importanti progetti a favore della cittadinanza realizzati su tutto il territorio nazionale.

Una volta che il Centro Culturale della Fondazione Stavros Niarchos sarà operativo, lo studio di fattibilità realizzato dal Boston Counsulting Group stima che la presenza del nuovo Centro Culturale eserciterà un notevole potenziale turistico e aumenterà l’attrattività di Atene e della Grecia, riuscendo a far convergere verso il polo culturale e le aree limitrofe circa 1,5 milioni di visitatori all’anno. I principali risultati a cui giunge tale studio parlano anche di una ricaduta economica diretta per la Grecia di 340 milioni di euro, mentre il contributo totale (diretto, indiretto e indotto) derivante dalla costruzione del Centro Culturale sarà di circa 1 miliardo di euro per l’intera economia greca. A ciò è possibile aggiungere che si prevede che ogni anno saranno impiegate tra le 1.500 e le 2.400 persone per i lavori di realizzazione della struttura, producendo entrate fiscali pari a circa 40 milioni di euro.

Le analisi effettuate dal Boston Counsulting Group evidenziano gli effetti che l’apertura del nuovo polo multifunzionale avrà sullo sviluppo del capitale umano grazie all’offerta di un’ampia gamma di attività culturali, programmi educativi, eventi e manifestazioni rivolti a differenti tipologie di fruitori e liberamente accessibili a tutti. In particolare, le attività ospitate all’interno dell’Opera Nazionale Greca avranno quale obiettivo quello di ampliare ed educare il pubblico dell’opera attraverso l’offerta di un variegato insieme di spettacoli e di attività ludico-didattiche pensate per attrarre i pubblici più giovani. La Biblioteca Nazionale sarà sia un centro di studio e ricerca per studenti e accademici, sia un luogo in cui sarà possibile svolgere una pletora di attività educative e culturali rivolte ai bambini e agli adulti.

Saranno in molti a chiedersi come mai in un Paese che sta cercando di trovare una via alternativa per la ristrutturazione del proprio debito e che ha conosciuto negli ultimi anni un calo del 25% del proprio PIL, un aumento del 28% del tasso di disoccupazione e un incremento quasi doppio della disoccupazione giovanile, le maggiori fondazioni greche abbiano deciso di investire in cultura. A nostro avviso, in un momento di crisi profonda in cui tutti i principali musei pubblici greci rischiano di chiudere, tali investimenti privati acquistano una valenza simbolica oltre che economica, se si vuole offrire al popolo greco una possibilità di riscatto almeno in ambito culturale.

Come messo in evidenza dalle iniziative e dai progetti prima illustrati, in presenza di una congiuntura economica negativa non sono solo i capitali che rischiano di scomparire, ma anche l’intera infrastruttura culturale di un popolo, fatta di memorie, tradizioni, valori e manufatti. Per continuare a credere nel proprio futuro, la Grecia ha bisogno della propria cultura. Per questo diviene indispensabile una maggiore collaborazione tra pubblico e privato, in grado di garantire una continuità operativa e produttiva al sistema culturale nel suo complesso. Registrando le prime avvisaglie di tale fenomeno, ci auguriamo che questi iniziali casi di cooperazione possano divenire un comportamento abituale e sappiano trasformarsi in qualcosa di più profondo, capace di produrre dei benefici reali per il popolo greco e il suo territorio, facendo fruttare appieno il potenziale della cultura di generare effetti positivi duraturi a vantaggi di tutti.

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[1]    Per maggiori informazioni sul Centro Culturale della Fondazione Stavros Niarchos è possibile consultare il sito web http://www.snfcc.org/default.aspx